I migliori videoartisti di sempre

Andiamo alla scoperta della videoarte attraverso i suoi esponenti più importanti, per conoscere questa forma d’espressione a misura di schermo.

Andy Warhol

 

Andy Warhol (1928-1987) è conosciuto soprattutto per le sue serigrafie, icone che hanno definito l’epoca più florida della pop art, ma forse non tutti sanno che è stato anche uno dei primi videoartisti. Testimone dell’influenza della società dei consumi sull’arte, Warhol sperimentò anche con la videoregistrazione grazie alla crescente disponibilità – ovvero commercializzazione – di questa tecnologia. Negli anni Sessanta produsse opere come “Sleep”, in cui il poeta John Giorno viene filmato mentre dorme per sei ore, e “Eat”, un video di 45 minuti che mostra un uomo che mangia funghetti allucinogeni.

 

Oltre a Warhol, in quegli anni l’artista Nam June Paik stava gettando le basi di una forma d’arte che sarebbe poi esplosa nei decenni successivi, seppur rimanendo “di nicchia”. Ma le cose stanno cambiando. Con l’avanzare delle tecnologie digitali, la videoarte si sta evolvendo e sta diventando sempre più accessibile. La sua rilevanza è sentita soprattutto in questo momento storico, in cui i musei e i luoghi di cultura stanno sperimentando nuovi strumenti digitali per raggiungere il pubblico durante la pandemia.

 

Esploriamo la storia e i molti volti della videoarte andando a conoscere alcuni dei suoi esponenti più famosi e importanti.

 

 

Nam June Paik

 

Nam June Paik (1932–2006) è nato a Seul, nella Corea del Sud, e dopo avere lasciato il suo paese negli anni Cinquanta, ha vissuto a Hong Kong, a Tokyo, nella Germania dell’Ovest e a New York, diventando un esponente chiave dell’avanguardia artistica degli anni Sessanta, nonché uno dei fondatori della videoarte. In “Tv bra for living sculpture” del 1969, la violoncellista americana Charlotte Moorman – con cui Paik collaborò ampiamente dagli anni Sessanta ai primi anni Novanta, realizzando con lei alcune delle sue opere più celebri – suona il violoncello nuda con due televisori sul seno, e in Tv-cello del 1971, suona un violoncello fatto di televisori i cui schermi trasmettono, a loro volta, una registrazione di Moorman.

 

Paik ha ispirato generazioni di videoartisti, stabilendo fin da subito il legame intimo tra questa forma d’arte e quella performativa, ed esprimendo il suo potenziale immersivo grazie alla sperimentazione con le diverse forme fisiche e dimensioni sensoriali che la videoarte è in grado di esprimere. Celebri sono le sculture di Paik realizzate con molteplici televisori assemblati per creare immagini riconoscibili, ad esempio la forma degli Stati Uniti d’America: oltre che nell’insieme, l’impronta dell’artista si vede nei video sperimentali e a volte astratti trasmessi dalle sculture fatte di schermi.

 

 

Bill Viola

 

“L’aspetto fondamentale del video non sono le immagini, per quanto possiamo meravigliarci di come possono essere manipolate digitalmente… La sua essenza, a mio avviso, è il movimento, cioè quel qualcosa che esiste in un momento e si trasforma il momento dopo”. Le parole di Bill Viola, uno dei videoartisti più famosi e celebrati al mondo, descrivono l’unicità delle sue opere. Le installazioni di Viola, nato a New York nel 1951, sono caratterizzate da filmati al rallentatore che permettono allo spettatore di coglierne tutte le sfaccettature e i significati, e di immergersi in veri e propri quadri viventi per ammirare la tecnica e la maestria dell’artista.

 

Viola racconta temi universali come la nascita, la morte e l’amore ispirandosi a religioni e culture di tutto il mondo, come l’arte rinascimentale italiana, il buddismo Zen e il sufismo, la dimensione mistica dell’Islam. Spesso lo fa mettendo a confronto l’essere umano con gli elementi della natura. Una donna durante il parto, una signora anziana che muore e, nel centro, un uomo che fluttua, sospeso nell’acqua: in “Nantes triptych” del 1992, Viola esplora come la nostra esistenza sia intrappolata tra due fatti inevitabili dell’esistenza, la vita e la morte. In “The crossing” del 1996, l’immagine di un uomo che viene divorato dalle fiamme è accompagnata, a lato, da quella della stessa persona sommersa dall’acqua.

 

 

Pipilotti Rist

 

Nel video “I'm not the girl who misses much” del 1986, una donna, la cui figura è visibile ma sfocata, balla e canta con una voce stridula. Quest’opera, una critica femminista della rappresentazione del corpo femminile nella cultura pop, catapultò Pipilotti Rist al successo. L’artista svizzera è considerata una delle massime esponenti della videoarte, erede dello stile ironico e delle critiche sociali di Nam June Paik. Nata con il nome Elisabeth Charlotte Rist nel 1962, l’artista ha adottato il nome Pipilotti, una combinazione tra quello del celebre personaggio di fantasia Pippi calzelunghe e “Lotti”, il soprannome di Rist quando era bambina.

 

Le sue proiezioni grandi e piccole vengono spesse paragonate ai video musicali. L’artista le manipola digitalmente, esagerando la saturazione dei colori e distorcendo le immagini accompagnate spesso dai suoni e dalla musica. Le sue opere colorate, divertenti e fortemente espressive sono molto apprezzate dal grande pubblico, considerate più accessibili rispetto a quelle delle correnti più astratte della videoarte. Ad esempio, nel 2008, Rist riempì i 7.534 metri cubi dell’atrio del secondo piano del Moma, il museo di arte moderna di New York, con la maxi-proiezione a caledoscopio Pour your body out (7534 cubic meters). Fu un tale successo da attrarre 6mila visitatori al giorno.

 

Paragonando la videoarte a una grande borsa, secondo Rist in questa forma di espressione “c’è spazio per tutto: la pittura, la tecnologia, il linguaggio, la musica, il flusso di immagini, la poesia, la commozione, la premonizione della morte, il sesso e l’amicizia”. E, aggiungiamo, c’è anche spazio per tutti.

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